mercoledì 23 giugno 2021

Il talento e l'ossessione



Se qualcuno mi chiedesse cosa ne penso dell'uomo Marquez gli direi chiaramente che non mi è mai piaciuto un granché.
In passato è stato scorretto in molte occasioni, a volte si è comportato in maniera a mio avviso arrogante e supponente nei confronti degli avversari. In certi casi se n'è infischiato delle regole e nessuno gli ha detto nulla.
Se però mi chiedete cosa ne penso del Marquez pilota rispondo senza ombra di dubbio che è uno dei più grandi talenti del motociclismo contemporaneo, un manico vero. Domenica ha regalato più emozioni lui da solo che tutti gli altri piloti nelle sette gare corse finora.
Un anno fa si è fratturato l'omero e dopo nove mesi di convalescenza e tre o quattro interventi chirurgici è tornato a correre, ma praticamente sta guidando con un braccio e mezzo. Eppure al Sachsenring si è vista la differenza tra degli ottimi piloti e uno che ha la stoffa per vincere mondiali a ripetizione. Ok, qualcuno dirà che questa è sempre stata la sua pista, le curve son tutte a sinistra, che il braccio infortunato è a destra e quindi dal prossimo gp tornerà dietro. Tutto giusto (forse) ma non è questo il punto.
Quando al Sachsenring si è trovato al comando e le prime gocce di pioggia hanno cominciato a bagnare le visiere, tutti si sono fatti prendere dal panico e hanno chiuso un po' il gas, mentre lui no, lui ha tenuto aperto e ha guadagnato quel margine di vantaggio che poi ha conservato fino alla fine. E in questo caso non c'entrano le gomme, la moto, il braccio. Lui ha tenuto aperto per un semplice motivo: era l'unico in pista che voleva vincere veramente, voleva vincere anche a costo di cadere e di spaccarsi di nuovo. I veri campioni sono così, non accettano i piazzamenti, i secondi o i terzi posti. Hanno l'ossessione per la vittoria, conta solo il proprio nome scritto nell'albo d'oro. Vincere o morire. Uno come Marquez, dopo otto titoli mondiali e un conto in banca da milionario, potrebbe tirare i remi in barca e andare in pensione anche domani, vivere di rendita per il resto della vita. Chi glielo fa fare di rischiare ancora la vita correndo? Ma la vita è fatta di obiettivi, di ambizioni, e l'ambizione di Marquez è dimostrare di essere il migliore di tutti e demolire gli avversari.





Io ricordo alcuni podi del passato, quando il motomondiale era popolato da cavalli pazzi. C'erano le grandi rivalità tra i vari Lawson, Rainey, Schwantz, fino ad arrivare all'epoca del dominio italiano coi Rossi, Biaggi, Capirossi, e poi Stoner, Lorenzo, Iannone prima che si rovinasse con la Belen. Quando salivano sul podio l'unico che rideva era il primo, gli altri incazzati come mufloni, musi lunghi. Arrivare secondo era una sconfitta vissuta con delusione, qualche volta anche con invidia e rabbia. Erano volontà di ferro, c'era un senso della competizione e della rivalità che era elevatissimo. I piloti si spronavano a vicenda e a ogni gara l'asticella si alzava. Le nuove generazioni di piloti non mi sembrano uguali. Per la carità, onore al merito perché quando corri su due ruote a 360 la moto sbacchetta, e in mezzo a una curva da gomito a terra devi metterci sempre le palle, non è una cosa che tutti possono fare. Però non si vede più il carisma, il carattere. Oggi sono tutti "controllati", vanno in giro con l'addetto stampa che ascolta cosa dicono nelle interviste, sembrano degli scolaretti usciti da scuola con la cartellina. Alcuni si fanno seguire dal "mental coach". Se prendiamo un pilota di oggi che ha il mental coach e lo catapultiamo indietro di vent'anni, beh, credo che i suoi avversari se lo cucinerebbero nel giro di una gara. Gente come Biaggi o un Rossi all'apice della carriera demolivano i propri avversari dentro e fuori la pista facendogli la guerra psicologica, trovarseli in pista era come avere un ragno attaccato alle palle. Quelli non erano piloti che avevano bisogno del "mental coach". Chiaro che anche loro quando perdevano tiravano fuori le scuse: le gomme, il "chattering", "mi van via fuori dalla curva". Ma quando il semaforo si spegneva erano pronti a gettare il cuore oltre l'ostacolo con quello che avevano, non si limitavano a finire la gara.
Quindi, concludendo 'sto noiosissimo pippone: io spero che Marquez resista ancora un po' e che torni in forma, perché è l'ultimo vero campione che ci rimane. E poi ci vuole sempre una lepre da inseguire...






9 commenti:

Sara ha detto...

Bene! Un blog di motociclismo mi pare un'ottima idea! Interessante questo confronto generazionale! Sarebbe interessante anche con gli anni '80.

Mark Renthon ha detto...

Scriverò di questo e altro...
Il motociclismo degli anni '80 non l'ho vissuto molto, sono giovane :D

Ciao

Sara ha detto...

Va beh ma ti puoi documentare!

Sara ha detto...

Ti posso mettere nel blogroll?

Mark Renthon ha detto...

Vai tranquilla ;)

Nuvola ha detto...

Bentornato!

Mark Renthon ha detto...

Thanks ;)

Mira Queen ha detto...

Mi è piaciuta molto questa tua analisi. Di Marquez direi che al momento è l'unico campione in attività; è un pilota in grado di fare la differenza, che va oltre le gomme, l'elettronica e tutto il resto e mi piacerebbe vederlo su una moto più scarsa di quella che ha perchè credo che ci metterebbe così tanto del suo da essere comunque forte.
Come hai giustamente detto piloti con quella voglia di vincere erano il Rossi dei tempi d'oro, Biaggi, Stoner, Lorenzo... tutta gente che si farebbe un solo boccone dei vari Quartararo, Mir, Miller.
Ciao, tornerò a rileggerti.


UnUomo.InCammino ha detto...

Anche nel motociclismo, il politicamente corretto avanza.